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Peintre
Teofilo Patini
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Teofilo Patini
Pittore abruzzese di Castel di Sangro, già noto favorevolmente nel mondo artistico, ha esposto con ognor più crescente favore dal 1880 ad oggi una serie di quadri interessantissimi e nuovi. A Torino espose nell’anno suddetto le tele: “Ogni buon stivale doventa ciabatta”; “Lo studio di Salvator Rosa”; e “La prima lezione di equitazione”.
A Milano nel 1881 aveva “L’erede”, quadro splendido rappresentante un contadino morto steso a terra su di uno stoia, mentre una donna stesa in un canto piange, ed un bambino nudo sta vicino a lei e si balocca. A proposito di questa tela così scrisse allora un critico: «Questo bellissimo lavoro è un quadro protesta; è un discendente legittimo del “Proximus tuus” che l’anno scorso si vedeva a Torino.
Davanti alla statua del D’Orti provavate lo stesso fremito di dolore d’ira di vergogna che davanti a questo del Patini: sono due canti, due lugubri canti dell’interminato poema sociale. La statua del D’Orsi mostrava il contadino caduto spossato sulle glebe, il quadro del Patini la fine di quel martirio e il principio d’un altro».
A Torino, nel 1884, espose “Vanga e latte” altro interessante lavoro, e finalmente a Venezia il quadro “Bestie da soma” di cui così parlava ‘L’Esposizione artistica nazionale illustrata, Venezia 1887′: «Il visitatore che, innamorato dell’arte, percorre quelle sale e trova in quei dipinti un’eco della vita umana colle sue gioie e i suoi dolori, colle sue miserie e i suoi trionfi, si arresta commosso dinanzi a quella tela che esprime vivamente e dolorosamente una triste e dolorosa scena.
E’ purtroppo una realtà che in molti paesi, sventuratamente anche d’Italia, la donna, più debole e quindi meno atta alle fatiche dell’uomo, è destinata ai lavori più duri e faticosi. Il Da Pozzo colla sua “Donna in Carnia” in cui ci dipinge una bellezza stanca e composta, ha probabìlmente avuto un’idea simile a quella del Patini e qua e là in altri quadri dell’Esposizione, come per esempio nelle “Macchiaiuole di San Rossore” del Gioli, ci si rivela forse indirettamente lo stesso spiacevole fatto.
Il titolo rude e brutale che il Patini dà al suo quadro, non aggiunge nulla alla rudezza, alla brutalità che il dipinto manifesta. Quella vecchia, rifinita, colle grinze sul volto, col busto semistaccato, colla camicia che lascia scorgere una parte del seno, che con un’espressione completa di tristezza e di abbandono tien chiusi gli occhi; quella giovine più accurata nell’abbigliamento, che lascia sfuggire dal fazzoletto alcuni riccioli che le incorniciano la fronte, ma che ha il volto velato da un’ombra di mestizia; quella donna, più vecchia che giovane, la quale scende dal monte col suo carico sulle spalle, sottana rimboccata, la veste a brandelli, con un’espressione incerta come da ebete che sopporta pazientemente un peso da cui non si può scaricare, son figure vive, palpitanti che ci fanno ricordare delle scene viste, se le abbiam viste, o diversamente rivelano all’animo commosso e meravigliato un lato triste e nuovo della vita umana.
Il Patini, giovane pittore che ha dedicato all’arte tutto sè stesso e nell’arte rivela il suo animo buono, può senza dubbio esser contento della nuova fama che gli deriverà da questo quadro; e l’avvenire che lo attende sarà senza dubbio tale, da effettuare le più giuste ed elette sue aspirazioni».
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